Dacia Maraini: «Sono solidale con Giorgio Pagano e per quello che fa per la nostra lingua e cultura»

Dacia Maraini

Sono solidale con Giorgio Pagano e per quello che fa per la nostra lingua e cultura.

Dacia Maraini, scrittrice famosissima, saggista, poetessa, con lei parleremo della questione del Politecnico di Milano, del fatto che un ministro della Repubblica italiana intende, sta cercando, di eliminare l’insegnamento in lingua italiana da un’università statale italiana, per farlo solo ed esclusivamente in lingua inglese. Lei, che durante il convegno “Italiano come risorsa” che si è svolto al Ministero degli affari esteri, ha detto “sono italiana perché parlo italiano”, come si pone nei confronti di un ministro che, appunto, sta perpetrando di fatto un genocidio linguistico degli studenti italiani in Italia?

DM: Io non sono assolutamente d’accordo con questo modo di procedere. Credo che si debba imparare l’inglese, si debba imparare le lingue, più se ne conoscono meglio è, ma separatamente dalla nostra.
Quello che è grave è questa contaminazione continua, questa inserzione di parole straniere per cui si arriva ad una forma di servilismo linguistico, solo perché le macchine parlano inglese. Quindi sembra che essere all’avanguardia, essere alla moda, significa parlare inglese.
Va benissimo, perché è la lingua internazionale con cui ci si intende tutti, quindi benissimo parlare inglese, anzi necessario e doveroso imparare l’inglese, ma l’italiano va salvaguardato, va difeso e va anche sviluppato perché ci sono moltissime novità, la lingua è in continua evoluzione, non è mai ferma, è un corpo vivente, e quindi va modificato, va sviluppato, adeguato ai tempi.
Però pensare di sostituire l’apprendimento, che è un momento importantissimo della conoscenza, del processo di conoscenza, di sostituirlo, questo processo, con un’altra lingua, a me sembra una cosa pazzesca, insomma.

Anche perché in ogni caso ci sono stati molti docenti del Politecnico che hanno fatto ricorso al TAR e hanno vinto, proprio per il fatto che la libertà d’insegnamento rischia di essere minacciata fortemente da questa decisione presa tout court dal senato del Politecnico di Milano e che è stata avvallata dall’ex ministro dell’istruzione Maria Chiara Carrozza e che adesso sta comunque avendo un suo seguito con il ministro Giannini che, oltretutto, l’anno scorso, nel momento in cui è partito il ricorso al Consiglio di stato, aveva chiesto al ministro Carrozza di tirare via la sua firma.
Noi in questo momento come associazione stiamo portando avanti una petizione, una raccolta di firme, con la quale vogliamo chiedere al ministro di tirare via la sua firma dato che proprio l’anno scorso aveva fatto un’azione totalmente opposta, diametralmente opposta. Lei è d’accordo con questa iniziativa che stiamo portando avanti?

DM: Certo. Dovrebbe essere doppia l’iniziativa: da una parte, da parte dei cittadini che devono secondo me protestare perché secondo me l’identità di un popolo sta nella lingua. Non sta nella bandiera, non sta nei confini, non sta nella religione, che è una cosa ampia che riguarda anche altri paesi, veramente io mi sento italiana perché parlo l’italiano.
Quindi è un fattore essenziale dell’identità di un popolo. Quindi, se vogliamo mantenere una certa identità, dobbiamo difendere la lingua che, come ho detto, è modificabile. La lingua non è quella che sta nei vocabolari, è in continua trasformazione, però non un impoverimento, deve essere un arricchimento.
E poi comunque il luogo dove si impara, non so, s’impara la matematica, s’impara la geografia, s’ imparano le scienze politiche, s’impara la filosofia, deve essere il luogo dove si usa la lingua del paese. L’università è il luogo del processo della conoscenza e questo deve avvenire nella lingua del paese.
Io vorrei sapere in quale altro paese si può fare una sostituzione di questo genere.
Quindi, quindi io chiederei da una parte la collaborazione dei cittadini che protestino perché riguarda tutti, dal basso verso l’alto e poi chiediamo anche ai nostri rappresentanti di prendere una posizione chiara e, comunque, di non farsi succubi di una moda perché poi, alla fine, come ho detto all’inizio, l’idea che siccome le macchine e soprattutto la tecnologia parla inglese, allora noi dobbiamo imparare l’inglese. No, ho detto già imparare l’inglese va bene, però separatamente dall’italiano.

Il Segretario della nostra associazione, Giorgio Pagano, dall’8 all’11 marzo aveva, ha fatto uno sciopero della fame e della sete con il quale chiedeva al ministro dell’istruzione di tirare via appunto la sua firma, l’ha fatto proprio in quei giorni perché l’11 di marzo a Roma c’è stata l’udienza al Consiglio di Stato. Purtroppo quell’iniziativa non ha avuto il successo che speravamo e adesso che è passato un mese, domani è l’11 di aprile, il segretario dell’ERA Giorgio Pagano ha intenzione di riprendere. Le sembra possibile che si debba arrivare ad una cosa così drastica per difendere la propria cultura e la propria lingua?

DM: No mi sembra molto triste che si debba arrivare a queste forme così, così pesanti, così anche crudeli verso se stessi. Lo sciopero della fame, sempre, per carità io sono d’accordo, ammiro chi lo fa, però certo che è un atto di crudeltà verso se stessi; bisognerebbe non arrivare a questo punto, bisognerebbe riuscire a coinvolgere i cittadini. E però il nostro è un paese strano perché distratto, un paese che ha poco senso civico e poca attenzione verso le grandi questioni che lo coinvolgono.
Poi ci sono naturalmente cittadini bravissimi, molto attenti e molto consapevoli, ma direi che il tono generale sia quello della distrazione.

Della distrazione e anche, se mi permette il termine, dell’abitudine e dell’arrivare al concetto di “ormai” come se non si potesse più avere un’inversione di tendenza. Per moltissimi ragazzi sembra che la conoscenza e l’utilizzo sfrenato di inglesismi nella normale comunicazione sia una cosa, come dice anche il nostro presidente del consiglio una cosa cool, una cosa che piace, che va bene, perché così siamo più simili agli americani, perché in molte persone c’è comunque la convinzione che la lingua è soltanto una cosa strumentale, che non faccia passare invece un’identità nazionale e la propria cultura, molti ritengono sia inutile o che sia da sminuire.

DM: Lei ha detto una cosa giustissima: l’idea che la lingua sia come uno strumento, come una zappa, come una chiave per aprire porte. È un’idea sbagliata e superficiale perché la lingua porta dentro le sue strutture un sistema simbolico importantissimo che si riferisce alla storia. Quindi si riferisce a una storia, è stratificata, porta dentro di sé tutto questo, tutta la storia che noi abbiamo vissuto, dall’antichità fino ad oggi.
La lingua porta la nostra esperienza come mondo greco, mondo latino, mondo fenicio, tutto quello che noi abbiamo vissuto nel nostro passato sta nella lingua, quindi è la nostra identità.
Sono cose veramente di pazzia perché poi acquistare un’altra identità non è facile. Acquistare un’altra lingua sì, naturalmente, è un fatto tecnico: uno può imparare l’inglese, il francese, lo spagnolo, il cinese, mio padre parlava nove lingue, io non ho altrettanta memoria però ne parlo 3 e una quarta abbastanza bene, quindi imparare le lingue è un grande esercizio della testa e anche una forma di apertura verso il mondo, di conoscenza, però c’è una lingua che sta dentro di noi che è la lingua dei sogni, la lingua del pensiero. È la lingua che appartiene appunto all’identità, e questa è pregna di cultura e, quindi, abbandonarla vuol dire perdere se stessi.

Abbiamo avuto modo di trovare una risorsa del ’43, un video in particolare, un video dove c’è Winston Churchill ad Harvard che sta ritirando una laurea honoris causa. Lui nel discorso che fa ai presenti che sono tutti studenti, stiamo parlando del periodo nel pieno della seconda guerra mondiale, era il 1943 ed era appunto il momento in cui la Gran Bretagna stava perdendo l’India con le proteste nonviolente di Gandhi, sostanzialmente in quel discorso Churchill dice agli studenti di Harvard andate nel mondo ed insegnate l’inglese a tutti i popoli perché gli imperi del futuro sono gli imperi della mente, cioè noi possiamo controllare attraverso la lingua i popoli, piuttosto che asservirli con lo sfruttamento o depredandone i territori. In questo è riscontrabile proprio un piano, una precisa intenzione degli Stai Uniti e della Gran Bretagna, un tentativo d’invasione delle culture nazionali degli altri popoli attraverso l’utilizzo della lingua inglese?

DM: Non credo che ci sia una specie di complotto internazionale, no, no i fatti stanno così: l’America è uno oggi dei paesi più potenti e naturalmente s’impone non soltanto attraverso i suoi prodotti come noi tutti vediamo. Anche nel campo dell’arte, se uno va al cinema la maggioranza, l’80% dei film, sono americani, perché loro s’impongono sul mercato e così hanno anche nella loro lingua i maggiori bestseller, se lei va in una qualsiasi libreria sono tutti americani eppure ci sono grandissimi scrittori di altre lingue che vengono trascurati, che non hanno quel potere d’imporsi. Però è un potere che s’impone ma non perché ci sia una volontà di schiavizzare, ma perché in effetti è un paese potente. Questo, va beh, è sempre successo: quando c’erano i latini era il latino che s’imponeva, era la lingua internazionale eccetera. Però, appunto, tanto più che anche se non c’è una volontà dietro c’è questo dato di fatto, tanto più è importante difendere la propria lingua, fare una resistenza.
Fra l’altro la cosa poi buffa è che io viaggiando poi mi accorgo che invece l’italiano, pur essendo una lingua non potente, che non viene da una potenza economica o militare, però esprime qualche cosa che è l’arte, la musica, la pittura, ci sono delle cose che sono legate all’italiano. E allora vedo, andando in giro per le università del mondo, che si studia l’italiano. Molta gente si applica all’italiano. Quindi non è una lingua da disprezzare o da sottovalutare è una lingua che ha delle grandi qualità che si accompagna ad una esperienza culturale, profonda, ricchissima, ricchissima. Allora molta gente si avvicina all’italiano per questo, e questa è un’altra ragione per difenderla per valorizzarla, valorizzarla.

Ma infatti la nostra preoccupazione non è tanto sulla reputazione dell’italiano all’estero, perché sappiamo benissimo che è molto studiata, ci preoccupa in maniera particolare la lingua italiana.

DM: In Italia.

La cura della lingua italiana in Italia.

DM: Certo. Io sono perfettamente d’accordo con quello che state facendo. È una forma di snobismo stupido, secondo me superficiale, quella di credere di poter sostituire l’italiano oppure di infarcirlo di termini inglesi. C’è sempre l’equivalente, basta trovarlo.
I francesi su questo sono molto più attenti di noi perché hanno più un orgoglio nazionale, loro sono anche esagerati perché non accettano nemmeno una parola inglese e trovano sempre un equivalente nel francese. Ora, senza arrivare a quelle forme estreme però, anche noi possiamo benissimo trovare l’equivalente, non è vero che non ci sia, c’è, basta aiutarsi anche con un pochino di fantasia, ci sono delle cose nuove a cui bisogna dar dei nomi nuovi e allora un po’ d’immaginazione si trova, si trova. L’italiano è una lingua anche duttile, bellissima, anche musicale, piace tanto a tutti, non capisco perché disprezzarla e mortificarla in questo modo.

Intervista di Monia Chimienti a Dacia Maraini.

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