Condivido l’arte e il pensiero di Giorgio Pagano; sapevamo fin dall’inizio e, via via, sempre più chiaramente, di non appartenere all’impossibilità, al risentimento, all’Assenza (niente rappresenta meglio quello che noi non siamo, dei lavori, struggenti e familiari, esposti in questi giorni a Roma, nella libreria Maldoror).
Se saremo noi a riFare le case, gli ornamenti, le musiche e i racconti, non potrà trattarsi di utopie regressive: nessun Kraus, nessun Adolf Loos, ci potrà accusare di falsa testimonianza.
Abbiamo appassionatamente amato il “dovere”, la rinuncia (la volontà di potenza, Altri direbbe) – gratuiti kantiani – che spingono l’artista borghese al riassorbimento delle lacerazioni in un aggetto formalmente perfetto e rassegnato a non poter essere altro che forma: pensiamo ad Aldo Bossi e a Paolo Castaldi.
Ma la nostra dimensione positiva non ha più necessità di fare concessioni: parliamo, e la parola significa; facciamo, e non è per moralismo della produzione.
È proprio la nostra, storicamente determinata, Assenza, che ha partorito una Presenza.