Come si dice “laicità” in arabo.

Bernardo Valli Dentro e fuori www.Iespresso.it.

Negli ultimi anni qualcosa si è mosso anche nell`Islam. E il fanatismo è una reazione, spaventata, proprio a questi inediti sussulti.

Come si dice “laicità” in arabo.

Un tempo “Cristiano” era sinonimo di “uomo”. Anche nelle famiglie di tradizione anticlericale, nella pianura padana, quando ero ragazzo, si diceva: è un buon o un cattivo cristiano, senza alcun riferimento al catechismo. Un laico era chiamato cristiano come un praticante. Erano i valori individuali, o quelli del cittadino, che consentivano la distinzione tra buono e cattivo. L’abitudine si è protratta ben al di là del momento in cui la modernità l’ha resa impropria. Penso alla “nascita” dell’individuo: a quando il re, durante la Rivoluzione francese, perde la sovranità per diritto divino. E Dio stesso ne è privato. I sudditi diventati cittadini non hanno più un’impronta religiosa obbligata. Altri appuntamenti della Storia segnano la svolta, ma quello fu l’atto rivoluzionario supremo.
Nell`Islam non è mai accaduto nulla di simile. Musulmano è colui che si sottomette a Dio ed è sinonimo di uomo. Non è un arcaismo sopravvissuto nel linguaggio popolare. È una realtà. Un musulmano si sente tale anche se non ama frequentare la moschea, se si scorda di recitare le cinque preghiere quotidiane e se non digiuna durante il Ramadan. In una teocrazia come l’Arabia Saudita glielo rammenta la polizia religiosa, in un sobborgo dell’Europa occidentale, dove non si censisce la religione dei cittadini, ci pensa la tradizione familiare. Il suo nome è inoltre un segno indelebile. L’Islam non ha conosciuto una vera riforma. Il posto di Dio nella città, della religione nel potere, non è discusso. Dice il poeta siriano Adonis che la concezione dell’uomo e del mondo dominante nell’Islam si fonda su tre principi. 1) Quella islamica è l’ultima profezia. 2) Le verità che trasmette sul mondo celeste e su quello terrestre sono le verità ultime. 3) L’uomo non può cambiare quel che ha detto la Rivelazione. È il ritratto di un Islam immobile.
La coabitazione con l’Islam è forse il principale problema del nostro inizio di secolo. E l’avventura multiculturale delle nostre generazioni. La grande sfida è riuscire a cambiare la stretta, obbligata identità del musulmano in una libera scelta individuale, come è accaduto dopo secoli per il cristiano. La soluzione è nella laicità. La cui laboriosa, controversa traduzione in arabo può condurre tuttavia a un’espressione come areligiosità, lontano dalla religione, in qualche modo a ateismo. A un significato incerto e comunque diverso da quello reale. Una zona oscura. Un grande islamologo, Maxime Rodinson, ricorda che la comunità delle origini è rimasta una seconda patria per i musulmani. È quando Maometto trasmette una rivelazione religiosa in cui sono compresi alcuni precetti riguardanti la legislazione sociale e delle opzioni politiche anch’esse ispirate da Dio. Nei quattordici secoli successivi le società convertite all’Islam, benché rimaste sostanzialmente fedeli alla dottrina, alla fede e ai riti musulmani, hanno osservato quei principi in modo assai diverso. Ma è sopravvissuta l’immagine idealizzata della Medina di Maometto. È rimasta come una seconda patria. Ha ceduto a lungo il passo, in molteplici contrade, alla prima patria, quella del momento, ma non è stata cancellata dalle coscienze. Ha continuato ad animare le fantasie e le passioni, Rimane ancora un estremo ricorso nella disgrazia. Il ritorno alla Medina di Maometto, così come uno se l’immagina, è il rimedio a tutti mali del secolo, a tutte le umiliazioni subite. E può essere una fonte di fanatismo come dimostra lo Stato islamico.
La moderinità è intervenuta nei paesi musulmani attraverso vari movimenti, dai nazionalisti ai marxisti. Molti si sono spenti o sono stati repressi. Penso non abbia del tutto ragione il poeta Adonis quando dice che le primavere arabe sono state portatrici di integralismo religioso. La verità è che sono stati sussulti di modernità sopraffatti dall’ondata fanatica del salafismo e del jihadismo, o repressi dai rais. In Europa le grandi comunità musulmane, nonostante le frange sedotte dal terrorismo, si adeguano via via ai principi della laicità, che magari non hanno ancora ben digerito. Essere minoranze, quindi non al potere, le aiuta. Ma l’Islam deve aggiornare quella seconda patria che ancora l’affascina: non affondare la fede che vi è nata e che riguarda gli individui. ma adeguarla alla nostra epoca.
È un salto di secoli. Non è poco.
(Da L’Espresso, 4/9/2016).

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