La Stampa, 10 febbraio 2005
COME I GOVERNI AGGIRANO L'UE
Tradurre è tradire (l'Europa)
di Tito Boeri
Sabato scorso quattro giornali europei (Handelsblatt, Le Figaro, Sole 24ore e Wall Street Journal Europe) hanno ospitato una lettera di Gordon Brown, Hans Eichel, Hervé Gaymard e Domenico Siniscalco. Nel testo i quattro ministri rivendicano i successi compiuti in Gran Bretagna, Germania, Francia ed Italia nel portare avanti la cosiddetta agenda di Lisbona. Apparentemente stesso testo. Ma mentre sul Wall Street Journal si propone di «procedere senza esitazione sulla strada delle liberalizzazioni e delle riforme economiche», il testo riportato da Le Figaro non fa alcun cenno alle «liberalizzazioni», limitandosi a proporre genericamente imprecisate «riforme economiche» e in Germania la lettera non viene messa neanche sul sito del ministero. Il Sole 24ore, che dà molto più rilievo alla lettera delle altre testate, riporta anche una frase, del tutto assente altrove, in cui si valorizza la riforma della scuola secondaria in Italia (tuttora oggetto di discussione nella
maggioranza) e gli incentivi fiscali all'innovazione (di cui non si ha ancora traccia).
Queste «traduzioni creative» sono una dimostrazione della frattura profonda esistente fra decisioni prese a livello europeo e dibattito pubblico nei diversi Paesi. A Bruxelles ci si impegna in traguardi ambiziosi, ma una volta tornati a casa bisogna fare i conti con i gruppi di pressione nazionali.
Quattro anni fa a Barcellona i capi di governo dell'Unione presero solennemente l'impegno di aumentare l'età effettiva di pensionamento di ben 5 anni entro il 2010, salvo poi guardarsi bene dal raccontare al pubblico di casa loro di avere preso questa storica (e forse non molto popolare) decisione sui lidi iberici.
Finché le autorità soprannazionali europee continueranno a parlare ai cittadini dell'Unione attraverso il filtro dei governi nazionali, l'agenda di Lisbona rimarrà solo un esercizio di retorica collettivo, con impegni solennemente presi all'estero e poi regolarmente «persi nella traduzione». L'unico modo per far avanzare il processo di Lisbona è cominciare a parlare direttamente ai cittadini. Ogni governo dell'Unione deve oggi produrre annualmente programmi di stabilità, piani sulla competitività, e sull'occupazione. Su questi piani si impegnano gli esecutivi nazionali e le osservazioni mosse dalla Commissione diventano raramente oggetto di dibattito pubblico. Perché allora non organizzare in tutti i Paesi sessioni dei Parlamenti nazionali in cui i piani presentati a Bruxelles (possibilmente un unico piano organico di politica economica) vengono messi al vaglio del Parlamento e discussi assieme alle controdeduzioni della Commissione?
Sarebbe un modo per impegnare i Paesi su questi obiettivi e, al tempo stesso, far capire a tutti le ragioni dei veti e delle sanzioni imposte da Bruxelles (è auspicabile che queste ultime vengano introdotte anche su alcuni parametri chiave di Lisbona). Quando la Commissione Europea, ad esempio, si oppone all'incremento delle tariffe dell'Enel, oppure impone ai Comuni di fare delle gare nell'assegnazione dei servizi pubblici locali, prende la parte dei consumatori. Ma nessuno se ne accorge. L'esame dei piani nazionali può aumentare la trasparenza della politica economica e, al contempo, mettere in luce i beni pubblici che possono essere prodotti a livello europeo, primo fra tutti l'accesso a un mercato più vasto e la concorrenza.