Anche la Francia comincia a cedere all’inglese

Tra vari segnali di apertura, solo le radio della capitale difendono lo «sciovinismo lessicale»

La Francia dice sì all’inglese Cade il tabù (in Borsa)

di Stefano Montefiori

Christine Lagarde, diplomata al liceo Holton Arms School di Bethesda (Maryland), ha deciso di rompere il tabù: nella Francia ossessionata dalla tutela della lingua, dove gli hedge funds devono essere chiamati fonds spéculatifs, il ministro dell’Economia vuole aprire un nuovo settore all’interno della Borsa di Parigi nel quale gli obblighi burocratici saranno ridotti al minimo, gli investimenti stranieri incoraggiati e – quindi – la lingua di lavoro sarà l’inglese. L’annuncio è stato dato ieri, nel corso della prima riunione dell’Haut Comité de Place, istituito in seno al governo per migliorare la competitività della piazza finanziaria di Parigi e strappare volume d’affari al vicino gigante della City. Per fare concorrenza ai mercati anglosassoni di Londra e New York la Borsa francese (gestita da Nyse Euronext, società europea della New York Stock Exchange) si adatterà a parlare – almeno in parte – la lingua del nemico. Solo l’anno scorso Jacques Chirac – peraltro impeccabile anglofono grazie agli studi ad Harvard – fece una scenata pubblica contro il connazionale Ernest-Antoine Seillière, ex presidente della Confindustria francese, che aveva osato cominciare in inglese il suo discorso a un vertice europeo a Bruxelles. «Perché non parla in francese?», lo interruppe davanti a tutti l’allora presidente. «Perché la lingua degli affari è l’inglese», rispose secco Seillière. Chirac abbandonò immediatamente la riunione (seguito dai ministri Thierry Breton e Philippe Douste-Blazy), per poi rientrare solo a fine intervento. Al contrario di Chirac, il nuovo presidente Nicolas Sarkozy parla un pessimo inglese, si affanna a dire joint venture e finisce per pronunciare johnny ventura (nota la scrittrice Yasmina Reza), però il clima è cambiato e la frase di Seillière sull’«inglese lingua degli affari», oggi, sembra patrimonio acquisito, anche al governo. Altri segnali indicano che l’ortodossia linguistico-sciovinista gallica si sta incrinando. Per esempio le campagne pubblicitarie dell’Eurostar che collega Parigi a Londra: qualche mese fa, sui manifesti, l’immagine di un mesto paesino francese, in strada solo una vecchina ricurva, e lo slogan-salvezza «A tre ore di treno c’ è Londra». I pubblicitari francesi quest’estate hanno fatto di nuovo sfoggio di un’inedita autoironia paragonando – negli spot radiofonici – una festa francese (voci di pochi ubriachi, una tragica fisarmonica) a un party inglese (folla esultante, musica degli Oasis). A biasciare la parola «Eurostar» negli spot è un francese maleducato e volgare, mentre la stessa parola pronunciata alla britannica suona oxfordiana, raffinata, elegante. L’apertura pro-Shakespeare è in corso, ma per nulla unanime. Nel numero di agosto Le Monde Diplomatique è uscito con un lungo servizio contro la nuova tentazione filo-anglosassone, denunciando episodi a dire del giornale scandalosi: Greenpeace che, in piena conferenza internazionale sul clima, lancia i suoi scalatori sulla torre Eiffel per appendere il gigantesco striscione monolingue It’ s not too late (Non è troppo tardi), senza che nessuno protesti; il francese Jean-Claude Trichet che presiede la Banca centrale europea facendola funzionare solo in inglese, al contrario dell’Onu che usa sei lingue ufficiali (inglese, arabo, cinese, spagnolo, russo e francese); i supermercati Carrefour che vendono prodotti per la casa con nomi a stelle e strisce come BlueSky, FirstLine, Powder Flash (qui, i sindacati hanno formalmente protestato). Nonostante la fine dell’era Chirac e il timido inizio di una nuova stagione meno anglofoba, restano alcune stranezze: a parte i noti neologismi tecnologici che da sempre fanno sorridere chi francese non è (logiciel per software, téléchargement per download, ordinateur per computer, mot de passe per password, texto per sms), Parigi è l’unica grande capitale del mondo a non avere una radio Fm in inglese: nel maggio scorso il Csa (l’autorità audiovisiva francese) ha attribuito 147 frequenze, tra le quali 66 nuove, ma non c’ è stato posto per Bbc World Service, Paris Live Radio e World Radio Paris. A Parigi si possono ascoltare trasmissioni radio in arabo, portoghese o armeno, ma non in inglese. David Blanc, direttore di World Radio Paris (una joint venture tra la radio pubblica americana Npr, la Bbc e l’Università americana di Parigi), ha protestato: «Le autorità francesi hanno paura dell’inglese». Il cammino è ancora lungo.

(Dal Corriere della Sera, 6/10/2007).

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