LA REPUBBLICA 15.07.2004 p. 15
All'Unone allargata servono nuovi poteri
FELIPE GONZALES
i SEI mesi di presidenza irlandese sono stati più fecondi di quanto ci si attendesse. Sembrerebbe che il ruolo cruciale assunto dall'Irlanda nella società dell'informazione abbia avuto effetti positivi sullagestione degli affari pubblici. Si è proceduto all'approvazione della costituzione europea, in presenza di un dibattito sulla divisione dei poteri cui è stata attribuita importanza sproporzionata e, dal mio punto divista, ingiustificata. Si è giunti a un accordo circa la nomina del presidente della Commissione, dopo una poco edificante baruffa su diverse proposte, nonché sulla nomina di un ministro degli Esteri Ue, in questo caso senza dissapori, a fronte del curriculum di Javier Solana.
In quale contesto sono state prese queste decisioni, così importanti per la futura costruzione dell'Europa? Dieci ulteriori paesi costituiscono oggi la realtà dell'Unione Europea, conferendole un profilo prossimo a quello definitivo, rendendola uno spazio pubblico comune che include la quasi totalità degli individui che hanno il diritto di chiamarsi europei (resta qualche ritardatario) e superando divisioni tanto clamorose quanto fittizie. Simboleggia il commiato da un terribile ventesimo secolo caratterizzato da lotte fratricide e barriere di separazione, ma finora non è stato molto di più di questo, perché i paesi dell'allargamento non sembrano provare l'entusiasmo avvertito in Spagna al momento dell'ingresso in quella che era allora la Comunità Europea. Ciò dovrebbe portarci a riflettere circa la necessità di spiegare a tutti nell'Ue il significato di quello che stiamo facendo. La ratifica della costituzione è gravemente a rischio. E resta irrisolto il problema più complesso dell'allargamento: la Turchia. Se però intendiamo motivare gli europei europeisti dovremo dare risposte chiare alle questioni in sospeso. Dibattiamo sulla divisione del Potere europeo, ma ne abbiamo dato una definizione? Conosciamo quello attuale, ossia il frutto diun lungo processo nato dal desiderio di lasciarsi alle spalle gli orrori delle guerre europee (mondiali) del ventesimo secolo, raggruppando una seriedifunzioniche non costituiscono un potere europeo significativo peri cittadini stessi o per il resto del mondo, pur avendo un certo impatto sullavita quotidiana. Naturalmente fanno eccezione l'euro e l'eliminazione delle frontiere nel mercato interno. In seno al dibattito sul Trattato dell'Unione, alla fine degli anni'80, fu proposto il principio di sussidiarietà per la revisione di queste funzioni, si discusse limitatamente su come configurare un potere europeo che corrispondesse, a livello internazionale, all'emergente potere economico. Inoltre il mondo è cambiato radicalmente, sia a seguito della rivoluzione tecnologica che alla scomparsa della politica dei blocchi. C'è da chiedersi se il potere europeo la sovranità che condividiamo sia sufficiente ad affrontare le sfide interne ed esterne che ci attendono. Disponiamo di un potere europeo decisivo rispetto alla scena mondiale, caratterizzata dalla globalizzazione, sconvolta dalla crisi della sicurezza, da problemi energetici, dalla dimensione dei flussi migratori e dalla rivoluzione tecnologica in atto? Credo che non disponiamo di questo potere nelle funzioni che abbiamo posto in comune. Disponiamo di un potere regolatore, complesso e difficile da comprendere per l'opinione pubblica, benché importante perlavita quotidiana. Esso escludeperò gli elementi decisivi del potere congruo di cui abbiamo necessità: in politica estera e in quella della sicurezza, nella politica energetica, nei nuovi concetti che definincono la coesione dell'insieme. Inoltre il processo decisionale è così lento da rivelarsi quasi sempre tardivo, in contrasto con la velocità impressa alle nostre vite dalla rivoluzione nelle comunicazioni. Immaginate l'impatto che avrà su questa lentezza l'annessione di altri dieci stati e, se la proposta avrà successo, di centocinquanta regioni. Anche se nessuno vuole parlarne esplicitamente, dovremmo quanto meno tenerlo in considerazione. E tutto questo avviene nel bel mezzo di una crisi di sicurezza internazionale causata da minacce reali, quali il terrorismo internazionale e la proliferazione delle armi di distruzione di massa. Una crisi aggravata in quanto affrontata erroneamente dall'amministrazione Usa, attraverso decisioni unilaterali e una guerra preventiva, che non trova fondamento nel diritto internazionale né nelle motivazioni addotte a giustificarla. L'Iraq e l'intera regione rappresentano un focolaio di tensione internazionale molto più grave oggi rispetto a due anni fa. L'Arabia Saudita, il Pakistan ed altri paesisono stati trascinati nel vortice del terrorismo internazionale, perdendo una relativa stabilità. Israele ha abbandonato la road map mirata al ritorno sul cammino della pace e il conflitto continua, come sempre, all'epicentro di tutta la turbolenza presente nellaregione. L'interasfera culturale collegata all'Islam, araba o non araba, è sconvolta dalle immagini provenienti dall'Iraq e dai territori occupati della Palestina. Che significato può avere il potere europeo in questa situazione?Un grande potere economico e commerciale privo di risorse per influire su un processo simile. Non basta avere ragione, anche se questo è spesso il nostro caso, se ciò non ha un peso nell'evoluzione degli eventi. La crisi della sicurezza presenta un risvolto energetico che ci pone di fronte alla prospettiva sempre più imminente di una fornitura di energia insufficiente a soddisfare la crescente domanda mondiale di energia non rinnovabile. Non sorprende che il terrorismo internazionale sferri i suoi attacchi su questo fianco vulnerabile. Stragi indiscriminaìte da un lato e distruzione di fonti di energia dall'altro, formano un cocktail che ci verrà propinato a lungo. Non dobbiamo farci confondere dalla tesi che colloca il problema energetico quasi esclusivamente nell'occidente sviluppato, quando la realtà è che l'aumento della domanda, per il momento almeno, parte daipaesi in via di svilupp o, in particolare dalla Cina e dall'India, che comprendono la metà della popolazione del mondo in via di sviluppo. Ancora una volta c'è da chiedersi che impatto possa avere il potere dell'Ue sul riassetto di questo scenario. Se volgiamo avere una visione completa del quadro, dobbiamo collocare la situazione europea nella dinamica di una rivoluzione tecnologica senza precedenti che permette all'uomo di comunicare oltre le barriere dello spazio e del tempo, alterando i sistemi di produzione dei beni e dei servizi, facilitando e stimolando i flussi migratori in direzione dell'Europa, de-localizzando gli investimenti, logorando i sistemidi protezione sociale nella nostra società che invecchia, mentre noi non siamo in grado di reagire adeguatamente. In che modo possiamo affrontare efficacemente questi problemi? Il nostro dibattito è adeguato allanaturae alle dimensioni delle sfide che ci attendono? Come primo approccio dovremmo decidere se sia meglio affrontarli agendo in ordine sparso, protetti da una vuota retorica nazionalista, o se abbiamo maggiori chance unendo le forze, condividendo la sovranità, cioè proseguendo nel definire un congruo potere europeo. Vantiamo un mercato interno senza frontiere ma non siamo stati in grado di dar vita ad una politica energetica comune, che ci consenta maggiore capacità di reazione alle sfide attuali incluso l'uso dell'euro nelle transazion i nonché l'utilizzo ottimale delle risorse disponibili e la ricerca comune su nuove fonti di energia. Abbiamo un mercato interno e politiche di coesione, ma dobbiamo ancora creare una politica comune di ricerca e sviluppo che consentaun progresso competitivo nell'ambito della rivoluzione tecnologica in atto, accorciando le distanze rispetto agli Usa e distribuendo i risultati di tale sforzo in tutti i paesi dell'Unione. Questavisione del mercato comune dovrebbe essere inclusa nella definizione di problemi audiovisivi e di comunicazione attraverso Internet. Questa sarebbe una reale politica di coesione per il ventunesimo secolo. Per portare avanti tutti questi compiti in un mondo sempre più interdipendente, l'Ue deve avere una politica estera e di sicurezza comune. In caso contrario l'Europa sarà ogni giorno di più non una fortezza ma un'inezia. Più estesa, con un maggior numero di abitanti, ma di nessun conto sullo scenario della globalizzazione.
(traduzione d i Emilia Bengh i)
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All'Unone allargata servono nuovi poteri
FELIPE GONZALES
i SEI mesi di presidenza irlandese sono stati più fecondi di quanto ci si attendesse. Sembrerebbe che il ruolo cruciale assunto dall'Irlanda nella società dell'informazione abbia avuto effetti positivi sullagestione degli affari pubblici. Si è proceduto all'approvazione della costituzione europea, in presenza di un dibattito sulla divisione dei poteri cui è stata attribuita importanza sproporzionata e, dal mio punto divista, ingiustificata. Si è giunti a un accordo circa la nomina del presidente della Commissione, dopo una poco edificante baruffa su diverse proposte, nonché sulla nomina di un ministro degli Esteri Ue, in questo caso senza dissapori, a fronte del curriculum di Javier Solana.
In quale contesto sono state prese queste decisioni, così importanti per la futura costruzione dell'Europa? Dieci ulteriori paesi costituiscono oggi la realtà dell'Unione Europea, conferendole un profilo prossimo a quello definitivo, rendendola uno spazio pubblico comune che include la quasi totalità degli individui che hanno il diritto di chiamarsi europei (resta qualche ritardatario) e superando divisioni tanto clamorose quanto fittizie. Simboleggia il commiato da un terribile ventesimo secolo caratterizzato da lotte fratricide e barriere di separazione, ma finora non è stato molto di più di questo, perché i paesi dell'allargamento non sembrano provare l'entusiasmo avvertito in Spagna al momento dell'ingresso in quella che era allora la Comunità Europea. Ciò dovrebbe portarci a riflettere circa la necessità di spiegare a tutti nell'Ue il significato di quello che stiamo facendo. La ratifica della costituzione è gravemente a rischio. E resta irrisolto il problema più complesso dell'allargamento: la Turchia. Se però intendiamo motivare gli europei europeisti dovremo dare risposte chiare alle questioni in sospeso. Dibattiamo sulla divisione del Potere europeo, ma ne abbiamo dato una definizione? Conosciamo quello attuale, ossia il frutto diun lungo processo nato dal desiderio di lasciarsi alle spalle gli orrori delle guerre europee (mondiali) del ventesimo secolo, raggruppando una seriedifunzioniche non costituiscono un potere europeo significativo peri cittadini stessi o per il resto del mondo, pur avendo un certo impatto sullavita quotidiana. Naturalmente fanno eccezione l'euro e l'eliminazione delle frontiere nel mercato interno. In seno al dibattito sul Trattato dell'Unione, alla fine degli anni'80, fu proposto il principio di sussidiarietà per la revisione di queste funzioni, si discusse limitatamente su come configurare un potere europeo che corrispondesse, a livello internazionale, all'emergente potere economico. Inoltre il mondo è cambiato radicalmente, sia a seguito della rivoluzione tecnologica che alla scomparsa della politica dei blocchi. C'è da chiedersi se il potere europeo la sovranità che condividiamo sia sufficiente ad affrontare le sfide interne ed esterne che ci attendono. Disponiamo di un potere europeo decisivo rispetto alla scena mondiale, caratterizzata dalla globalizzazione, sconvolta dalla crisi della sicurezza, da problemi energetici, dalla dimensione dei flussi migratori e dalla rivoluzione tecnologica in atto? Credo che non disponiamo di questo potere nelle funzioni che abbiamo posto in comune. Disponiamo di un potere regolatore, complesso e difficile da comprendere per l'opinione pubblica, benché importante perlavita quotidiana. Esso escludeperò gli elementi decisivi del potere congruo di cui abbiamo necessità: in politica estera e in quella della sicurezza, nella politica energetica, nei nuovi concetti che definincono la coesione dell'insieme. Inoltre il processo decisionale è così lento da rivelarsi quasi sempre tardivo, in contrasto con la velocità impressa alle nostre vite dalla rivoluzione nelle comunicazioni. Immaginate l'impatto che avrà su questa lentezza l'annessione di altri dieci stati e, se la proposta avrà successo, di centocinquanta regioni. Anche se nessuno vuole parlarne esplicitamente, dovremmo quanto meno tenerlo in considerazione. E tutto questo avviene nel bel mezzo di una crisi di sicurezza internazionale causata da minacce reali, quali il terrorismo internazionale e la proliferazione delle armi di distruzione di massa. Una crisi aggravata in quanto affrontata erroneamente dall'amministrazione Usa, attraverso decisioni unilaterali e una guerra preventiva, che non trova fondamento nel diritto internazionale né nelle motivazioni addotte a giustificarla. L'Iraq e l'intera regione rappresentano un focolaio di tensione internazionale molto più grave oggi rispetto a due anni fa. L'Arabia Saudita, il Pakistan ed altri paesisono stati trascinati nel vortice del terrorismo internazionale, perdendo una relativa stabilità. Israele ha abbandonato la road map mirata al ritorno sul cammino della pace e il conflitto continua, come sempre, all'epicentro di tutta la turbolenza presente nellaregione. L'interasfera culturale collegata all'Islam, araba o non araba, è sconvolta dalle immagini provenienti dall'Iraq e dai territori occupati della Palestina. Che significato può avere il potere europeo in questa situazione?Un grande potere economico e commerciale privo di risorse per influire su un processo simile. Non basta avere ragione, anche se questo è spesso il nostro caso, se ciò non ha un peso nell'evoluzione degli eventi. La crisi della sicurezza presenta un risvolto energetico che ci pone di fronte alla prospettiva sempre più imminente di una fornitura di energia insufficiente a soddisfare la crescente domanda mondiale di energia non rinnovabile. Non sorprende che il terrorismo internazionale sferri i suoi attacchi su questo fianco vulnerabile. Stragi indiscriminaìte da un lato e distruzione di fonti di energia dall'altro, formano un cocktail che ci verrà propinato a lungo. Non dobbiamo farci confondere dalla tesi che colloca il problema energetico quasi esclusivamente nell'occidente sviluppato, quando la realtà è che l'aumento della domanda, per il momento almeno, parte daipaesi in via di svilupp o, in particolare dalla Cina e dall'India, che comprendono la metà della popolazione del mondo in via di sviluppo. Ancora una volta c'è da chiedersi che impatto possa avere il potere dell'Ue sul riassetto di questo scenario. Se volgiamo avere una visione completa del quadro, dobbiamo collocare la situazione europea nella dinamica di una rivoluzione tecnologica senza precedenti che permette all'uomo di comunicare oltre le barriere dello spazio e del tempo, alterando i sistemi di produzione dei beni e dei servizi, facilitando e stimolando i flussi migratori in direzione dell'Europa, de-localizzando gli investimenti, logorando i sistemidi protezione sociale nella nostra società che invecchia, mentre noi non siamo in grado di reagire adeguatamente. In che modo possiamo affrontare efficacemente questi problemi? Il nostro dibattito è adeguato allanaturae alle dimensioni delle sfide che ci attendono? Come primo approccio dovremmo decidere se sia meglio affrontarli agendo in ordine sparso, protetti da una vuota retorica nazionalista, o se abbiamo maggiori chance unendo le forze, condividendo la sovranità, cioè proseguendo nel definire un congruo potere europeo. Vantiamo un mercato interno senza frontiere ma non siamo stati in grado di dar vita ad una politica energetica comune, che ci consenta maggiore capacità di reazione alle sfide attuali incluso l'uso dell'euro nelle transazion i nonché l'utilizzo ottimale delle risorse disponibili e la ricerca comune su nuove fonti di energia. Abbiamo un mercato interno e politiche di coesione, ma dobbiamo ancora creare una politica comune di ricerca e sviluppo che consentaun progresso competitivo nell'ambito della rivoluzione tecnologica in atto, accorciando le distanze rispetto agli Usa e distribuendo i risultati di tale sforzo in tutti i paesi dell'Unione. Questavisione del mercato comune dovrebbe essere inclusa nella definizione di problemi audiovisivi e di comunicazione attraverso Internet. Questa sarebbe una reale politica di coesione per il ventunesimo secolo. Per portare avanti tutti questi compiti in un mondo sempre più interdipendente, l'Ue deve avere una politica estera e di sicurezza comune. In caso contrario l'Europa sarà ogni giorno di più non una fortezza ma un'inezia. Più estesa, con un maggior numero di abitanti, ma di nessun conto sullo scenario della globalizzazione.
(traduzione d i Emilia Bengh i)