Dibattito
I giovani non conoscono più l’italiano. Manca il confronto con modelli complessi
Poca letteratura e forme veloci: la lingua muore
di Giulio Ferroni
I giovani non conoscono più la lingua italiana: arrancano nella sintassi, ignorano il lessico, al punto che certi termini banali che si leggono su ogni giornale e che ogni professore pronuncia con indifferenza nelle sue lezioni sono per loro del tutto incomprensibili. Giustissimo il grido d’allarme dei nostri linguisti, che compiono da anni una meritoria attività a difesa della lingua italiana. Ma non mi pare che privilegiare la linguistica rispetto alla letteratura, come suggeriscono gli eminenti storici della lingua intervistati da Paolo Di Stefano possa dare qualche risultato apprezzabile. Tralasciando il fatto che ormai da tempo è venuta meno nella cultura contemporanea l’egemonia della linguistica impostasi negli anni ’60 e ’70, va piuttosto ricordato che l’esercizio avanzato di una lingua (e tanto più della lingua materna) si dà attraverso l’esperienza e il confronto con le forme avanzate del linguaggio, quali che esse siano, e non certo passando attraverso categorie interpretative e distinzioni tecniche. Non è vero forse che questa ignoranza dell’italiano è determinata in primo luogo dai linguaggi in cui i giovani sono immersi fin dalla loro infanzia, dal predominio di forme di comunicazione schematica, veloce, di immediata consumazione? Allora forse c’ è bisogno di confrontarsi proprio con modelli di più articolata complessità, e in primo luogo con quelli della letteratura. E forse non aveva tutti i torti Croce (del resto l’anticrocianesimo programmatico dovrebbe aver fatto il suo tempo): la letteratura (quella del passato e quella di oggi) è ancora uno strumento essenziale di apprendimento e di esercizio linguistico. Non mi sembra poi che nella scuola si faccia troppa letteratura: in realtà se ne fa sempre di meno; i classici vengono letti a piccolissimi brandelli e spesso la loro lettura viene sommersa e vanificata da astruserie classificatorie e da cervellotiche «analisi del testo» che allontanano i ragazzi da ogni vera curiosità per la lingua e per la letteratura: sempre più assente il confronto con la loro ricchezza sintattica e lessicale. Non sarà certo il caso di credere che rimedio alla difficile situazione possa essere dato da un ulteriore riduzione dello spazio della letteratura e da un’acquisizione di nuovi spazi istituzionali per le discipline linguistiche.
(Dal Corriere della Sera, 22/12/2009).
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I giovani non conoscono più l’italiano. Manca il confronto con modelli complessi
Poca letteratura e forme veloci: la lingua muore
di Giulio Ferroni
I giovani non conoscono più la lingua italiana: arrancano nella sintassi, ignorano il lessico, al punto che certi termini banali che si leggono su ogni giornale e che ogni professore pronuncia con indifferenza nelle sue lezioni sono per loro del tutto incomprensibili. Giustissimo il grido d’allarme dei nostri linguisti, che compiono da anni una meritoria attività a difesa della lingua italiana. Ma non mi pare che privilegiare la linguistica rispetto alla letteratura, come suggeriscono gli eminenti storici della lingua intervistati da Paolo Di Stefano possa dare qualche risultato apprezzabile. Tralasciando il fatto che ormai da tempo è venuta meno nella cultura contemporanea l’egemonia della linguistica impostasi negli anni ’60 e ’70, va piuttosto ricordato che l’esercizio avanzato di una lingua (e tanto più della lingua materna) si dà attraverso l’esperienza e il confronto con le forme avanzate del linguaggio, quali che esse siano, e non certo passando attraverso categorie interpretative e distinzioni tecniche. Non è vero forse che questa ignoranza dell’italiano è determinata in primo luogo dai linguaggi in cui i giovani sono immersi fin dalla loro infanzia, dal predominio di forme di comunicazione schematica, veloce, di immediata consumazione? Allora forse c’ è bisogno di confrontarsi proprio con modelli di più articolata complessità, e in primo luogo con quelli della letteratura. E forse non aveva tutti i torti Croce (del resto l’anticrocianesimo programmatico dovrebbe aver fatto il suo tempo): la letteratura (quella del passato e quella di oggi) è ancora uno strumento essenziale di apprendimento e di esercizio linguistico. Non mi sembra poi che nella scuola si faccia troppa letteratura: in realtà se ne fa sempre di meno; i classici vengono letti a piccolissimi brandelli e spesso la loro lettura viene sommersa e vanificata da astruserie classificatorie e da cervellotiche «analisi del testo» che allontanano i ragazzi da ogni vera curiosità per la lingua e per la letteratura: sempre più assente il confronto con la loro ricchezza sintattica e lessicale. Non sarà certo il caso di credere che rimedio alla difficile situazione possa essere dato da un ulteriore riduzione dello spazio della letteratura e da un’acquisizione di nuovi spazi istituzionali per le discipline linguistiche.
(Dal Corriere della Sera, 22/12/2009).
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I giovani non conoscono più l’italiano. Manca il confronto con modelli complessi
Poca letteratura e forme veloci: la lingua muore
di Giulio Ferroni
I giovani non conoscono più la lingua italiana: arrancano nella sintassi, ignorano il lessico, al punto che certi termini banali che si leggono su ogni giornale e che ogni professore pronuncia con indifferenza nelle sue lezioni sono per loro del tutto incomprensibili. Giustissimo il grido d’allarme dei nostri linguisti, che compiono da anni una meritoria attività a difesa della lingua italiana. Ma non mi pare che privilegiare la linguistica rispetto alla letteratura, come suggeriscono gli eminenti storici della lingua intervistati da Paolo Di Stefano possa dare qualche risultato apprezzabile. Tralasciando il fatto che ormai da tempo è venuta meno nella cultura contemporanea l’egemonia della linguistica impostasi negli anni ’60 e ’70, va piuttosto ricordato che l’esercizio avanzato di una lingua (e tanto più della lingua materna) si dà attraverso l’esperienza e il confronto con le forme avanzate del linguaggio, quali che esse siano, e non certo passando attraverso categorie interpretative e distinzioni tecniche. Non è vero forse che questa ignoranza dell’italiano è determinata in primo luogo dai linguaggi in cui i giovani sono immersi fin dalla loro infanzia, dal predominio di forme di comunicazione schematica, veloce, di immediata consumazione? Allora forse c’ è bisogno di confrontarsi proprio con modelli di più articolata complessità, e in primo luogo con quelli della letteratura. E forse non aveva tutti i torti Croce (del resto l’anticrocianesimo programmatico dovrebbe aver fatto il suo tempo): la letteratura (quella del passato e quella di oggi) è ancora uno strumento essenziale di apprendimento e di esercizio linguistico. Non mi sembra poi che nella scuola si faccia troppa letteratura: in realtà se ne fa sempre di meno; i classici vengono letti a piccolissimi brandelli e spesso la loro lettura viene sommersa e vanificata da astruserie classificatorie e da cervellotiche «analisi del testo» che allontanano i ragazzi da ogni vera curiosità per la lingua e per la letteratura: sempre più assente il confronto con la loro ricchezza sintattica e lessicale. Non sarà certo il caso di credere che rimedio alla difficile situazione possa essere dato da un ulteriore riduzione dello spazio della letteratura e da un’acquisizione di nuovi spazi istituzionali per le discipline linguistiche.
(Dal Corriere della Sera, 22/12/2009).
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I giovani non conoscono più l’italiano. Manca il confronto con modelli complessi
Poca letteratura e forme veloci: la lingua muore
di Giulio Ferroni
I giovani non conoscono più la lingua italiana: arrancano nella sintassi, ignorano il lessico, al punto che certi termini banali che si leggono su ogni giornale e che ogni professore pronuncia con indifferenza nelle sue lezioni sono per loro del tutto incomprensibili. Giustissimo il grido d’allarme dei nostri linguisti, che compiono da anni una meritoria attività a difesa della lingua italiana. Ma non mi pare che privilegiare la linguistica rispetto alla letteratura, come suggeriscono gli eminenti storici della lingua intervistati da Paolo Di Stefano possa dare qualche risultato apprezzabile. Tralasciando il fatto che ormai da tempo è venuta meno nella cultura contemporanea l’egemonia della linguistica impostasi negli anni ’60 e ’70, va piuttosto ricordato che l’esercizio avanzato di una lingua (e tanto più della lingua materna) si dà attraverso l’esperienza e il confronto con le forme avanzate del linguaggio, quali che esse siano, e non certo passando attraverso categorie interpretative e distinzioni tecniche. Non è vero forse che questa ignoranza dell’italiano è determinata in primo luogo dai linguaggi in cui i giovani sono immersi fin dalla loro infanzia, dal predominio di forme di comunicazione schematica, veloce, di immediata consumazione? Allora forse c’ è bisogno di confrontarsi proprio con modelli di più articolata complessità, e in primo luogo con quelli della letteratura. E forse non aveva tutti i torti Croce (del resto l’anticrocianesimo programmatico dovrebbe aver fatto il suo tempo): la letteratura (quella del passato e quella di oggi) è ancora uno strumento essenziale di apprendimento e di esercizio linguistico. Non mi sembra poi che nella scuola si faccia troppa letteratura: in realtà se ne fa sempre di meno; i classici vengono letti a piccolissimi brandelli e spesso la loro lettura viene sommersa e vanificata da astruserie classificatorie e da cervellotiche «analisi del testo» che allontanano i ragazzi da ogni vera curiosità per la lingua e per la letteratura: sempre più assente il confronto con la loro ricchezza sintattica e lessicale. Non sarà certo il caso di credere che rimedio alla difficile situazione possa essere dato da un ulteriore riduzione dello spazio della letteratura e da un’acquisizione di nuovi spazi istituzionali per le discipline linguistiche.
(Dal Corriere della Sera, 22/12/2009).
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I giovani non conoscono più l’italiano. Manca il confronto con modelli complessi
Poca letteratura e forme veloci: la lingua muore
di Giulio Ferroni
I giovani non conoscono più la lingua italiana: arrancano nella sintassi, ignorano il lessico, al punto che certi termini banali che si leggono su ogni giornale e che ogni professore pronuncia con indifferenza nelle sue lezioni sono per loro del tutto incomprensibili. Giustissimo il grido d’allarme dei nostri linguisti, che compiono da anni una meritoria attività a difesa della lingua italiana. Ma non mi pare che privilegiare la linguistica rispetto alla letteratura, come suggeriscono gli eminenti storici della lingua intervistati da Paolo Di Stefano possa dare qualche risultato apprezzabile. Tralasciando il fatto che ormai da tempo è venuta meno nella cultura contemporanea l’egemonia della linguistica impostasi negli anni ’60 e ’70, va piuttosto ricordato che l’esercizio avanzato di una lingua (e tanto più della lingua materna) si dà attraverso l’esperienza e il confronto con le forme avanzate del linguaggio, quali che esse siano, e non certo passando attraverso categorie interpretative e distinzioni tecniche. Non è vero forse che questa ignoranza dell’italiano è determinata in primo luogo dai linguaggi in cui i giovani sono immersi fin dalla loro infanzia, dal predominio di forme di comunicazione schematica, veloce, di immediata consumazione? Allora forse c’ è bisogno di confrontarsi proprio con modelli di più articolata complessità, e in primo luogo con quelli della letteratura. E forse non aveva tutti i torti Croce (del resto l’anticrocianesimo programmatico dovrebbe aver fatto il suo tempo): la letteratura (quella del passato e quella di oggi) è ancora uno strumento essenziale di apprendimento e di esercizio linguistico. Non mi sembra poi che nella scuola si faccia troppa letteratura: in realtà se ne fa sempre di meno; i classici vengono letti a piccolissimi brandelli e spesso la loro lettura viene sommersa e vanificata da astruserie classificatorie e da cervellotiche «analisi del testo» che allontanano i ragazzi da ogni vera curiosità per la lingua e per la letteratura: sempre più assente il confronto con la loro ricchezza sintattica e lessicale. Non sarà certo il caso di credere che rimedio alla difficile situazione possa essere dato da un ulteriore riduzione dello spazio della letteratura e da un’acquisizione di nuovi spazi istituzionali per le discipline linguistiche.
(Dal Corriere della Sera, 22/12/2009).
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I giovani non conoscono più l’italiano. Manca il confronto con modelli complessi
Poca letteratura e forme veloci: la lingua muore
di Giulio Ferroni
I giovani non conoscono più la lingua italiana: arrancano nella sintassi, ignorano il lessico, al punto che certi termini banali che si leggono su ogni giornale e che ogni professore pronuncia con indifferenza nelle sue lezioni sono per loro del tutto incomprensibili. Giustissimo il grido d’allarme dei nostri linguisti, che compiono da anni una meritoria attività a difesa della lingua italiana. Ma non mi pare che privilegiare la linguistica rispetto alla letteratura, come suggeriscono gli eminenti storici della lingua intervistati da Paolo Di Stefano possa dare qualche risultato apprezzabile. Tralasciando il fatto che ormai da tempo è venuta meno nella cultura contemporanea l’egemonia della linguistica impostasi negli anni ’60 e ’70, va piuttosto ricordato che l’esercizio avanzato di una lingua (e tanto più della lingua materna) si dà attraverso l’esperienza e il confronto con le forme avanzate del linguaggio, quali che esse siano, e non certo passando attraverso categorie interpretative e distinzioni tecniche. Non è vero forse che questa ignoranza dell’italiano è determinata in primo luogo dai linguaggi in cui i giovani sono immersi fin dalla loro infanzia, dal predominio di forme di comunicazione schematica, veloce, di immediata consumazione? Allora forse c’ è bisogno di confrontarsi proprio con modelli di più articolata complessità, e in primo luogo con quelli della letteratura. E forse non aveva tutti i torti Croce (del resto l’anticrocianesimo programmatico dovrebbe aver fatto il suo tempo): la letteratura (quella del passato e quella di oggi) è ancora uno strumento essenziale di apprendimento e di esercizio linguistico. Non mi sembra poi che nella scuola si faccia troppa letteratura: in realtà se ne fa sempre di meno; i classici vengono letti a piccolissimi brandelli e spesso la loro lettura viene sommersa e vanificata da astruserie classificatorie e da cervellotiche «analisi del testo» che allontanano i ragazzi da ogni vera curiosità per la lingua e per la letteratura: sempre più assente il confronto con la loro ricchezza sintattica e lessicale. Non sarà certo il caso di credere che rimedio alla difficile situazione possa essere dato da un ulteriore riduzione dello spazio della letteratura e da un’acquisizione di nuovi spazi istituzionali per le discipline linguistiche.
(Dal Corriere della Sera, 22/12/2009).
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I giovani non conoscono più l’italiano. Manca il confronto con modelli complessi
Poca letteratura e forme veloci: la lingua muore
di Giulio Ferroni
I giovani non conoscono più la lingua italiana: arrancano nella sintassi, ignorano il lessico, al punto che certi termini banali che si leggono su ogni giornale e che ogni professore pronuncia con indifferenza nelle sue lezioni sono per loro del tutto incomprensibili. Giustissimo il grido d’allarme dei nostri linguisti, che compiono da anni una meritoria attività a difesa della lingua italiana. Ma non mi pare che privilegiare la linguistica rispetto alla letteratura, come suggeriscono gli eminenti storici della lingua intervistati da Paolo Di Stefano possa dare qualche risultato apprezzabile. Tralasciando il fatto che ormai da tempo è venuta meno nella cultura contemporanea l’egemonia della linguistica impostasi negli anni ’60 e ’70, va piuttosto ricordato che l’esercizio avanzato di una lingua (e tanto più della lingua materna) si dà attraverso l’esperienza e il confronto con le forme avanzate del linguaggio, quali che esse siano, e non certo passando attraverso categorie interpretative e distinzioni tecniche. Non è vero forse che questa ignoranza dell’italiano è determinata in primo luogo dai linguaggi in cui i giovani sono immersi fin dalla loro infanzia, dal predominio di forme di comunicazione schematica, veloce, di immediata consumazione? Allora forse c’ è bisogno di confrontarsi proprio con modelli di più articolata complessità, e in primo luogo con quelli della letteratura. E forse non aveva tutti i torti Croce (del resto l’anticrocianesimo programmatico dovrebbe aver fatto il suo tempo): la letteratura (quella del passato e quella di oggi) è ancora uno strumento essenziale di apprendimento e di esercizio linguistico. Non mi sembra poi che nella scuola si faccia troppa letteratura: in realtà se ne fa sempre di meno; i classici vengono letti a piccolissimi brandelli e spesso la loro lettura viene sommersa e vanificata da astruserie classificatorie e da cervellotiche «analisi del testo» che allontanano i ragazzi da ogni vera curiosità per la lingua e per la letteratura: sempre più assente il confronto con la loro ricchezza sintattica e lessicale. Non sarà certo il caso di credere che rimedio alla difficile situazione possa essere dato da un ulteriore riduzione dello spazio della letteratura e da un’acquisizione di nuovi spazi istituzionali per le discipline linguistiche.
(Dal Corriere della Sera, 22/12/2009).
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I giovani non conoscono più la lingua italiana: arrancano nella sintassi, ignorano il lessico, al punto che certi termini banali che si leggono su ogni giornale e che ogni professore pronuncia con indifferenza nelle sue lezioni sono per loro del tutto incomprensibili. Giustissimo il grido d’allarme dei nostri linguisti, che compiono da anni una meritoria attività a difesa della lingua italiana. Ma non mi pare che privilegiare la linguistica rispetto alla letteratura, come suggeriscono gli eminenti storici della lingua intervistati da Paolo Di Stefano possa dare qualche risultato apprezzabile. Tralasciando il fatto che ormai da tempo è venuta meno nella cultura contemporanea l’egemonia della linguistica impostasi negli anni ’60 e ’70, va piuttosto ricordato che l’esercizio avanzato di una lingua (e tanto più della lingua materna) si dà attraverso l’esperienza e il confronto con le forme avanzate del linguaggio, quali che esse siano, e non certo passando attraverso categorie interpretative e distinzioni tecniche. Non è vero forse che questa ignoranza dell’italiano è determinata in primo luogo dai linguaggi in cui i giovani sono immersi fin dalla loro infanzia, dal predominio di forme di comunicazione schematica, veloce, di immediata consumazione? Allora forse c’ è bisogno di confrontarsi proprio con modelli di più articolata complessità, e in primo luogo con quelli della letteratura. E forse non aveva tutti i torti Croce (del resto l’anticrocianesimo programmatico dovrebbe aver fatto il suo tempo): la letteratura (quella del passato e quella di oggi) è ancora uno strumento essenziale di apprendimento e di esercizio linguistico. Non mi sembra poi che nella scuola si faccia troppa letteratura: in realtà se ne fa sempre di meno; i classici vengono letti a piccolissimi brandelli e spesso la loro lettura viene sommersa e vanificata da astruserie classificatorie e da cervellotiche «analisi del testo» che allontanano i ragazzi da ogni vera curiosità per la lingua e per la letteratura: sempre più assente il confronto con la loro ricchezza sintattica e lessicale. Non sarà certo il caso di credere che rimedio alla difficile situazione possa essere dato da un ulteriore riduzione dello spazio della letteratura e da un’acquisizione di nuovi spazi istituzionali per le discipline linguistiche.
(Dal Corriere della Sera, 22/12/2009).
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I giovani non conoscono più l’italiano. Manca il confronto con modelli complessi
Poca letteratura e forme veloci: la lingua muore
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I giovani non conoscono più la lingua italiana: arrancano nella sintassi, ignorano il lessico, al punto che certi termini banali che si leggono su ogni giornale e che ogni professore pronuncia con indifferenza nelle sue lezioni sono per loro del tutto incomprensibili. Giustissimo il grido d’allarme dei nostri linguisti, che compiono da anni una meritoria attività a difesa della lingua italiana. Ma non mi pare che privilegiare la linguistica rispetto alla letteratura, come suggeriscono gli eminenti storici della lingua intervistati da Paolo Di Stefano possa dare qualche risultato apprezzabile. Tralasciando il fatto che ormai da tempo è venuta meno nella cultura contemporanea l’egemonia della linguistica impostasi negli anni ’60 e ’70, va piuttosto ricordato che l’esercizio avanzato di una lingua (e tanto più della lingua materna) si dà attraverso l’esperienza e il confronto con le forme avanzate del linguaggio, quali che esse siano, e non certo passando attraverso categorie interpretative e distinzioni tecniche. Non è vero forse che questa ignoranza dell’italiano è determinata in primo luogo dai linguaggi in cui i giovani sono immersi fin dalla loro infanzia, dal predominio di forme di comunicazione schematica, veloce, di immediata consumazione? Allora forse c’ è bisogno di confrontarsi proprio con modelli di più articolata complessità, e in primo luogo con quelli della letteratura. E forse non aveva tutti i torti Croce (del resto l’anticrocianesimo programmatico dovrebbe aver fatto il suo tempo): la letteratura (quella del passato e quella di oggi) è ancora uno strumento essenziale di apprendimento e di esercizio linguistico. Non mi sembra poi che nella scuola si faccia troppa letteratura: in realtà se ne fa sempre di meno; i classici vengono letti a piccolissimi brandelli e spesso la loro lettura viene sommersa e vanificata da astruserie classificatorie e da cervellotiche «analisi del testo» che allontanano i ragazzi da ogni vera curiosità per la lingua e per la letteratura: sempre più assente il confronto con la loro ricchezza sintattica e lessicale. Non sarà certo il caso di credere che rimedio alla difficile situazione possa essere dato da un ulteriore riduzione dello spazio della letteratura e da un’acquisizione di nuovi spazi istituzionali per le discipline linguistiche.
(Dal Corriere della Sera, 22/12/2009).
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